Ai lavoratori che hanno contratto una malattia a causa dell’esposizione ad amianto, come per qualsiasi altra malattia professionale, l’ordinamento riconosce il diritto ad una compensazione monetaria, costituita in primo luogo da una rendita corrisposta dall’INAIL e, in secondo luogo, dal risarcimento integrale del danno cui è tenuto il datore di lavoro che non abbia eventualmente adottato le necessarie misure di prevenzione.
È onere del lavoratore dimostrare di aver avuto una esposizione ad amianto di lunga durata e di elevata intensità e che tale esposizione abbia causato una malattia; solo così si può affermare la sussistenza, in termini di probabilità vicini alla certezza, di un nesso causale tra esposizione e malattia.
Lo studio CDF AVVOCATI è particolarmente specializzato nella tutela dei lavoratori esposti all’amianto.
In uno dei tanti casi di cui si è occupato lo studio, il Sig. F.S. aveva svolto l’attività di manovale, con mansione di pulitore, nel reparto manutenzione tram e autobus e poi era divenuto operario comune alle dipendenze dell’Atac S.p.A. e dopo 35 anni di lavoro gli era comparso un adenocarcinoma gastrico.
Il ricorso del Sig. F.S al giudice del lavoro del Tribunale di Roma si era concluso con accoglimento parziale: infatti, nei confronti dell’INAIL era stato accolto il ricorso condannando l’istituto a corrispondere al lavoratore la rendita in relazione all’invalidità derivante da malattia professionale nei limiti del 35%; mentre nei confronti dell’Atac era stato rigettato il ricorso, in relazione alle domande di risarcimento del danno biologico cd “differenziale” da invalidità permanente, del correlato danno morale e del danno da perdita della capacità lavorativa.
Per quanto concerne il primo aspetto, era stata dimostrata l’esposizione ad amianto di lunga durata e di elevata intensità del lavoratore ed era stato altresì dimostrato che l’attività svolta aveva causato l’evento dannoso. Era inoltre stato escluso che vi fosse stato un fattore estraneo all’attività lavorativa, di per sé sufficiente a produrre l’infermità.
Invece per quanto riguarda il secondo aspetto, il giudice adito aveva ritenuto non dimostrata la responsabilità del datore di lavoro.
Avverso detta sentenza lo studio ha proposto appello sulla base del presupposto che quando il lavoratore abbia provato di aver contratto una malattia e che questa sia derivata eziologicamente dall’ambiente di lavoro, grava poi sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell’evento.
L’impugnazione era stata accolta dalla Corte d’Appello che ha basato la propria decisione sulla mancata dimostrazione dell’adozione di misure di protezione da parte della datrice di lavoro e al contrario è risultato che il ricorrente svolgeva l’attività lavorativa in un ambiente nel quale non erano state adottate le misure di prudenza con la conseguente responsabilità risarcitoria avanzata dal lavoratore.
La Corte d’Appello di Roma ha riconosciuto in favore del lavoratore anche il risarcimento del danno inteso quale danno biologico differenziale eccedente la coperta assicurativa.
E ciò affatto sostenendo che nel caso concreto la colpa datoriale rifletteva altresì una responsabilità penale perseguibile d’ufficio per lesioni permanenti, proprio in ragione della violazione di norme poste a garanzia della tutela del lavoratore.
Sulla base di queste argomentazioni e tenuto conto del pregiudizio sofferto dal malato in considerazione della relativa durata della malattia e della circostanza che nel corso di tale periodo si sottopose a cicli di chemioterapia con tutte le sofferenze e i disagi ad essa connessi, la corte d’appello con l’ausilio dei parametri di liquidazione contenuti nelle Tabelle di Milano ha liquidato una significativa somma di denaro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
Viene da sé che la pronuncia è di grande rilevanza per il lavoratore esposto all’amianto che si veda riconosciuto pienamente il diritto al risarcimento, patrimoniale e non.
Dott.ssa Anna Catalano